Cenni Storici
Sicuramente anche nel territorio dove poi sarebbe sorto il Comune di Nicolosi, in periodo arabo, vennero realizzate trazzere che resero più accessibile l’accesso al vulcano, ma fu la politica normanna che portò, d’accordo con la Chiesa romana, alla creazione di monasteri benedettini sulle pendici del vulcano. E’ certo comunque che nel XII secolo nel territorio di Nicolosi esisteva solo una chiesetta ed un ospizio per i monaci infermi e che, per donazione, con le vigne e le terre circostanti, il tutto entrò a far parte del monastero di San Leone, mentre più tardi , nel 1205, la zona fu unita al monastero di Santa Maria di Licodia come grangia. Rispettando la volontà espressa da Federico II d’Aragona, che avrebbe voluto, in un luogo tanto bello e salubre un monastero, Marziale vescovo di Catania ne ordinò la costruzione presso l’antico ospizio, sotto la guida di un temporaneo priore. Era il 1359 e da quel momento iniziò il graduale predominio del Monastero di San Nicola all’Arena, che prese il nome dalla natura geologica del terreno sabbioso su cui sorgeva. Benchè già prima di tale data attorno all’ospizio si fossero insediate famiglie di pastori e di contadini, esse non costituivano un vero casale; fu invece con la trasformazione del Monastero in sede abbaziale che si rese necessaria una concentrazione stabile di personale. Il paese di Nicolosi, fin dal suo nascere, però, a causa della sua ubicazione sulle pendici del vulcano, sembrò destinato a mille sventure: terremoti ed eruzioni…nonostante ciò, frequenti erano nel luogo le visite della regina Eleonora, moglie di Federico II d’Aragona e, più tardi della regina Bianca di Navarra, moglie di re Martino che soggiornò a lungo nel monastero. Proprio grazie al coraggio della regina Bianca, gli abitanti non abbandonarono il paese nel corso dell’eruzione del 1408; non meno minacciosa e spaventosa dovette essere l’eruzione del 1444. Comunque il borgo di Nicolosi cresceva di importanza al punto che, nel 1447 divenne feudo del principe di Paternò e fu amministrato dai suoi procuratori che risiedevano a Malpasso. Certo è che ancora nel 1747, al principe di Paternò erano aggregati i casali e le terre di Belpasso, Nicolosi, Stella Aragona e Camporotondo. In un certo senso si può dire che tale dipendenza durò fino al XIX secolo. Dopo le eruzioni del 1536 e del 1537 ed il terremoto del 1542 mentre i monaci di S. Nicola ottenevano prima temporaneamente, poi definitivamente il permesso di abbandonare il monastero , il paese continuava ad ingrandirsi verso sud, attorno alla Chiesa che, nel 1601 divenne parrocchia, svincolandosi da Mompilieri. Le famiglie residenti aumentavano e ciò faceva sperare anche in uno sfruttamento agricolo più ampio nel territorio; invece le eruzioni, le carestie e le pestilenze che si susseguirono, ridussero le risorse del piccolo centro di Nicolosi, riportando alla luce una vecchia piaga, quella del brigantaggio, retaggio delle misere condizioni economiche di un tempo. Un nuovo e violento arresto nella crescita venne nel 1633, quando dopo un violento terremoto fu la volta di una nuova terribile eruzione, che provocò vittime. Questa situazione di disaggio spiega il mancato sviluppo in tali anni e l’esiguità numerica degli abitanti che, nel 1653 ammontavano a soli 515. A dare il colpo definitivo la più terribile, forse, delle eruzioni storiche dell’Etna, quella del 1669 che raggiunse Catania. La quantità di sabbia eruttata, fu tale da sommergere Nicolosi, Pedara e Trecastagni, mentre la lava distrusse Malpasso, S. Pietro, Campo Rotondo, Mompilieri e San Giovanni Galermo giungendo a Catania, al mare e circondando Castel Ursino. L’eruzione che cessò l’11 luglio creò presso Nicolosi i Monti Rossi, che fornano il più grande dei coni laterali etnei. I nicolositi dopo essere stati lontani per quattro mesi dal loro paese, furono costretti ad abitare nella nuova città di Fenicia Moncada per volontà del principe di Paternò, con gli altrettanto sfortunati abitanti di Malpasso e Mompilieri. Essi non accettarono di buon grado il trasferimento dalla montagna ad una zona paludosa e di tanto in tanto ritornavano a Nicolosi per dissotterrare le case dalla cenere e dalla sabbia, nonostante fosse loro vietato. La ribellione fu punita bruciando quanto già riportato alla luce, ma non desistettero dal loro proposito di ritornare al paese e riedificare le case e le vigne. Si incominciò a rifabbricare il paese; fu rapidamente sistemata la chiesetta della Madonna delle Grazie, l’unica a non aver subito danni e qui furono portati i Sacramenti della Chiesa Matrice, della quale erano rimasti in piedi pochi muri, il 18 agosto 1671. Nicolosi venne ricostruito tenendo conto dell’aspetto che aveva prima del 1669, conservando la fisionomia dell’abitato precedente. Le case sorsero lungo la strada che collegava ad est con Pedara ed a ovest con Malpasso ricostruito Belpasso. Sia la Chiesa Madre, che quella delle Anime del Purgatorio furono ricostruite nello stesso luogo e con parte del materiale precedente, mentre alla prima metà del 700 risale la costruzione della Chiesa di S. Maria delle Grazie, di quella della Madonna del Carmelo, nonché di quella di San Giuseppe. La popolazione era sempre in aumento ed il paese si ingrandiva ad ovest oltre verso Belpasso, e ad est verso Pedara e si collegava con Mascalucia dalla via del Carmine e con Mompilieri da via Abate Longo. Questa via partiva dall’odierna Piazza della Vittoria, un tempo denominata Piazza della Forca, dove avvenivano le impiccagioni. Le fonti di reddito erano la pastorizia e l’agricoltura. Anche nella seconda metà del XVIII secolo l’Etna minacciò da vicino il paese e l’abitato fu seriamente in pericolo con l’eruzione del 1766. L’evento più importante per Nicolosi nel XIX secolo fu, senza dubbio, sia dal punto di vista urbanistico che economico, il taglio dell’asse di quella che ora chiamiamo via Etnea, in quanto determinò una rotazione nello sviluppo del paese. La via, ardentemente voluta e progettata da Don Alvaro Paternò Castello, principe di Manganelli, Intendente della Val di Catania, si articolava in cinque tratti, collegando Gravina, Mascalucia, S. Rocco, Massannunziata e Nicolosi. La realizzazione avvenne nel 1835 come si evince dalla lapide commemorativa su uno dei due obelischi a Barriera; la stessa doveva essere apposta sulla Piramide, imponente monumento che segnava la fine della strada stessa, che doveva erigersi come una piramide su un’ossatura di pietra lavica. Speranza del principe di Manganelli, era quella di prolungare la via ben oltre Nicolosi, fino all’Etna. Nel 1837, il re Ferdinando che aveva approvato il progetto, accordava che la strada stessa portasse il suo nome Ferdinanda o Ferdinandea. Intanto il monumento della Piramide, presso il cimitero, non era ancora stato completato per molteplici cause; realizzata la base e apposti i marmi, questi furono presto asportati o rubati, mentre le spese per i materiali si facevano sempre più eccessive, tanto che nel 1839 era stata eretta solo l’ossatura in pietra lavica con la scalinata. Il progetto non arrivò mai a totale compimento e resta ora quell’ammasso di pietra sulla quale campeggia la lapide in marmo che il tempo e l’incuria stanno ora ulteriormente danneggiando. La via Ferdinandea, poi via Etnea, fu ultimata invece circa 100 anni dopo, in epoca fascista. Nei primi decenni del secolo, Mario Gemellaro, illustre vulcanologo e sapiente amministratore, contribuiva a rendere accogliente ed ospitale il piccolo centro di Nicolosi, spianando la strada di ingresso del paese ed ornandola con alberi di ailanto, ingrandiva la piazza e creando una cisterna pubblica ad uso degli abitanti più poveri. Dal 1840 erano state abolite le leggi degli usi promiscui ed il territorio da dissodare e coltivare era stato ridotto in frazioni e concesso agli abitanti per impiantarvi vigneti, pometi, ecc… Da qui la possibilità di ottenere buoni guadagni con i prodotti della guerra. Quando il 17 marzo 1861 Nicolosi divenne Comune del Regno d’Italia, poteva definirsi veramente un grosso villaggio. Vi erano due alberghi, in seguito diventati tre, apprezzati per la pulizia e per le comodità che vi si trovano. Nonostante l’Etna terrorizzasse gli abitanti di tanto in tanto con scosse di terremoto più o meno lievi, dopo l’eruzione del 1766 poche altre eruzioni avevano minacciato molto da vicino il paese ed anche questo aveva contribuito ad un miglioramento generale economico. Il 18 marzo 1883 Nicolosi fu scosso da un terremoto violento e le scosse ripetute nella giornata e nel giorno successivo causarono il crollo di varie abitazioni, tanto che si prepararono baracche all’aperto e nella notte del 20 ebbe inizio l’eruzione, ritenuta da tutti molto vicina al paese. Passati alcuni mesi, la vita a Nicolosi riprese normalmente: si ricostruirono le case, si ricominciò l’attività di sempre, ma i terremoti di tanto in tanto sconvolgevano la gente. Il timore divenne realtà tra il 18 e il 19 maggio 1886 quando ebbe inizio una nuova eruzione, preceduta da un fortissimo terremoto, da una fenditura apertasi a circa 12 km dal paese. Non diminuendo il pericolo nei giorni successivi, le autorità avevano fissato il cordone sanitario di cinta per tutto l’abitato e lo svuotamento delle cisterne, per impedire che la lava, venendo a contatto con l’acqua, le facesse scoppiare. Intanto iniziavano i preparativi per lo sgombero del paese, caricando sui carri i pochi mobili, tegole, porte, imposte e botti. Anche nei giorni successivi il flusso lavico continuava a scorrere, arrivando a soli 800 metri dalle prime case del paese e il 31 maggio iniziava lo sgombero. Nel ‘900 molti abitanti di Nicolosi, sacrificavano la loro vita nei conflitti mondiali, rispondendo alla chiamata della Patria. In epoca fascista si riprese il progetto della strada per l’Etna; nel 1929 l’amministrazione provinciale con a capo l’Avv. Lo Giudice decise la costruzione della strada e studiò i mezzi per realizzarla e i lavori iniziarono il 29 settembre 1931: dal proseguimento della provinciale Catania-Mascalucia-Nicolosi, su per il ripido fianco del grande vulcano, fino a giungere alla Cantoniera dalla quale si gode la magnifica visione di un terzo della Sicilia. La costruzione durò formalmente tre anni. Negli anni 50 arrivava l’acqua potabile direttamente nelle case. Gli ultimi decenni hanno visto una radicale trasformazione del paese che a poco a poco ha cambiato fisionomia, con la sostituzione edilizia dei vecchi con nuovi fabbricati ed il processo di riempimento degli spazi non ancora edificati. Dall’immediato dopoguerra, inoltre, i pendii sud-orientali dell’Etna sono diventati meta di villeggiatura estiva della popolazione catanese, che vi ha costruito le seconde case dalle linee architettoniche moderne e dai colori vivaci. Il boom dell’edilizia ha arrecato a Nicolosi un notevole benessere, posto a pochi passi dalla città, e da cui dipende per la sua economia prevalentemente terziaria. Da qui, però anche l’attenzione sempre crescente nei confronti di una politica turistica matura, diversa che avesse come obiettivo di offrire ad una grande quantità di persone la possibilità di visitare e soggiornare in queste zone.
Sicuramente anche nel territorio dove poi sarebbe sorto il Comune di Nicolosi, in periodo arabo, vennero realizzate trazzere che resero più accessibile l’accesso al vulcano, ma fu la politica normanna che portò, d’accordo con la Chiesa romana, alla creazione di monasteri benedettini sulle pendici del vulcano. E’ certo comunque che nel XII secolo nel territorio di Nicolosi esisteva solo una chiesetta ed un ospizio per i monaci infermi e che, per donazione, con le vigne e le terre circostanti, il tutto entrò a far parte del monastero di San Leone, mentre più tardi , nel 1205, la zona fu unita al monastero di Santa Maria di Licodia come grangia. Rispettando la volontà espressa da Federico II d’Aragona, che avrebbe voluto, in un luogo tanto bello e salubre un monastero, Marziale vescovo di Catania ne ordinò la costruzione presso l’antico ospizio, sotto la guida di un temporaneo priore. Era il 1359 e da quel momento iniziò il graduale predominio del Monastero di San Nicola all’Arena, che prese il nome dalla natura geologica del terreno sabbioso su cui sorgeva. Benchè già prima di tale data attorno all’ospizio si fossero insediate famiglie di pastori e di contadini, esse non costituivano un vero casale; fu invece con la trasformazione del Monastero in sede abbaziale che si rese necessaria una concentrazione stabile di personale. Il paese di Nicolosi, fin dal suo nascere, però, a causa della sua ubicazione sulle pendici del vulcano, sembrò destinato a mille sventure: terremoti ed eruzioni…nonostante ciò, frequenti erano nel luogo le visite della regina Eleonora, moglie di Federico II d’Aragona e, più tardi della regina Bianca di Navarra, moglie di re Martino che soggiornò a lungo nel monastero. Proprio grazie al coraggio della regina Bianca, gli abitanti non abbandonarono il paese nel corso dell’eruzione del 1408; non meno minacciosa e spaventosa dovette essere l’eruzione del 1444. Comunque il borgo di Nicolosi cresceva di importanza al punto che, nel 1447 divenne feudo del principe di Paternò e fu amministrato dai suoi procuratori che risiedevano a Malpasso. Certo è che ancora nel 1747, al principe di Paternò erano aggregati i casali e le terre di Belpasso, Nicolosi, Stella Aragona e Camporotondo. In un certo senso si può dire che tale dipendenza durò fino al XIX secolo. Dopo le eruzioni del 1536 e del 1537 ed il terremoto del 1542 mentre i monaci di S. Nicola ottenevano prima temporaneamente, poi definitivamente il permesso di abbandonare il monastero , il paese continuava ad ingrandirsi verso sud, attorno alla Chiesa che, nel 1601 divenne parrocchia, svincolandosi da Mompilieri. Le famiglie residenti aumentavano e ciò faceva sperare anche in uno sfruttamento agricolo più ampio nel territorio; invece le eruzioni, le carestie e le pestilenze che si susseguirono, ridussero le risorse del piccolo centro di Nicolosi, riportando alla luce una vecchia piaga, quella del brigantaggio, retaggio delle misere condizioni economiche di un tempo. Un nuovo e violento arresto nella crescita venne nel 1633, quando dopo un violento terremoto fu la volta di una nuova terribile eruzione, che provocò vittime. Questa situazione di disaggio spiega il mancato sviluppo in tali anni e l’esiguità numerica degli abitanti che, nel 1653 ammontavano a soli 515. A dare il colpo definitivo la più terribile, forse, delle eruzioni storiche dell’Etna, quella del 1669 che raggiunse Catania. La quantità di sabbia eruttata, fu tale da sommergere Nicolosi, Pedara e Trecastagni, mentre la lava distrusse Malpasso, S. Pietro, Campo Rotondo, Mompilieri e San Giovanni Galermo giungendo a Catania, al mare e circondando Castel Ursino. L’eruzione che cessò l’11 luglio creò presso Nicolosi i Monti Rossi, che fornano il più grande dei coni laterali etnei. I nicolositi dopo essere stati lontani per quattro mesi dal loro paese, furono costretti ad abitare nella nuova città di Fenicia Moncada per volontà del principe di Paternò, con gli altrettanto sfortunati abitanti di Malpasso e Mompilieri. Essi non accettarono di buon grado il trasferimento dalla montagna ad una zona paludosa e di tanto in tanto ritornavano a Nicolosi per dissotterrare le case dalla cenere e dalla sabbia, nonostante fosse loro vietato. La ribellione fu punita bruciando quanto già riportato alla luce, ma non desistettero dal loro proposito di ritornare al paese e riedificare le case e le vigne. Si incominciò a rifabbricare il paese; fu rapidamente sistemata la chiesetta della Madonna delle Grazie, l’unica a non aver subito danni e qui furono portati i Sacramenti della Chiesa Matrice, della quale erano rimasti in piedi pochi muri, il 18 agosto 1671. Nicolosi venne ricostruito tenendo conto dell’aspetto che aveva prima del 1669, conservando la fisionomia dell’abitato precedente. Le case sorsero lungo la strada che collegava ad est con Pedara ed a ovest con Malpasso ricostruito Belpasso. Sia la Chiesa Madre, che quella delle Anime del Purgatorio furono ricostruite nello stesso luogo e con parte del materiale precedente, mentre alla prima metà del 700 risale la costruzione della Chiesa di S. Maria delle Grazie, di quella della Madonna del Carmelo, nonché di quella di San Giuseppe. La popolazione era sempre in aumento ed il paese si ingrandiva ad ovest oltre verso Belpasso, e ad est verso Pedara e si collegava con Mascalucia dalla via del Carmine e con Mompilieri da via Abate Longo. Questa via partiva dall’odierna Piazza della Vittoria, un tempo denominata Piazza della Forca, dove avvenivano le impiccagioni. Le fonti di reddito erano la pastorizia e l’agricoltura. Anche nella seconda metà del XVIII secolo l’Etna minacciò da vicino il paese e l’abitato fu seriamente in pericolo con l’eruzione del 1766. L’evento più importante per Nicolosi nel XIX secolo fu, senza dubbio, sia dal punto di vista urbanistico che economico, il taglio dell’asse di quella che ora chiamiamo via Etnea, in quanto determinò una rotazione nello sviluppo del paese. La via, ardentemente voluta e progettata da Don Alvaro Paternò Castello, principe di Manganelli, Intendente della Val di Catania, si articolava in cinque tratti, collegando Gravina, Mascalucia, S. Rocco, Massannunziata e Nicolosi. La realizzazione avvenne nel 1835 come si evince dalla lapide commemorativa su uno dei due obelischi a Barriera; la stessa doveva essere apposta sulla Piramide, imponente monumento che segnava la fine della strada stessa, che doveva erigersi come una piramide su un’ossatura di pietra lavica. Speranza del principe di Manganelli, era quella di prolungare la via ben oltre Nicolosi, fino all’Etna. Nel 1837, il re Ferdinando che aveva approvato il progetto, accordava che la strada stessa portasse il suo nome Ferdinanda o Ferdinandea. Intanto il monumento della Piramide, presso il cimitero, non era ancora stato completato per molteplici cause; realizzata la base e apposti i marmi, questi furono presto asportati o rubati, mentre le spese per i materiali si facevano sempre più eccessive, tanto che nel 1839 era stata eretta solo l’ossatura in pietra lavica con la scalinata. Il progetto non arrivò mai a totale compimento e resta ora quell’ammasso di pietra sulla quale campeggia la lapide in marmo che il tempo e l’incuria stanno ora ulteriormente danneggiando. La via Ferdinandea, poi via Etnea, fu ultimata invece circa 100 anni dopo, in epoca fascista. Nei primi decenni del secolo, Mario Gemellaro, illustre vulcanologo e sapiente amministratore, contribuiva a rendere accogliente ed ospitale il piccolo centro di Nicolosi, spianando la strada di ingresso del paese ed ornandola con alberi di ailanto, ingrandiva la piazza e creando una cisterna pubblica ad uso degli abitanti più poveri. Dal 1840 erano state abolite le leggi degli usi promiscui ed il territorio da dissodare e coltivare era stato ridotto in frazioni e concesso agli abitanti per impiantarvi vigneti, pometi, ecc… Da qui la possibilità di ottenere buoni guadagni con i prodotti della guerra. Quando il 17 marzo 1861 Nicolosi divenne Comune del Regno d’Italia, poteva definirsi veramente un grosso villaggio. Vi erano due alberghi, in seguito diventati tre, apprezzati per la pulizia e per le comodità che vi si trovano. Nonostante l’Etna terrorizzasse gli abitanti di tanto in tanto con scosse di terremoto più o meno lievi, dopo l’eruzione del 1766 poche altre eruzioni avevano minacciato molto da vicino il paese ed anche questo aveva contribuito ad un miglioramento generale economico. Il 18 marzo 1883 Nicolosi fu scosso da un terremoto violento e le scosse ripetute nella giornata e nel giorno successivo causarono il crollo di varie abitazioni, tanto che si prepararono baracche all’aperto e nella notte del 20 ebbe inizio l’eruzione, ritenuta da tutti molto vicina al paese. Passati alcuni mesi, la vita a Nicolosi riprese normalmente: si ricostruirono le case, si ricominciò l’attività di sempre, ma i terremoti di tanto in tanto sconvolgevano la gente. Il timore divenne realtà tra il 18 e il 19 maggio 1886 quando ebbe inizio una nuova eruzione, preceduta da un fortissimo terremoto, da una fenditura apertasi a circa 12 km dal paese. Non diminuendo il pericolo nei giorni successivi, le autorità avevano fissato il cordone sanitario di cinta per tutto l’abitato e lo svuotamento delle cisterne, per impedire che la lava, venendo a contatto con l’acqua, le facesse scoppiare. Intanto iniziavano i preparativi per lo sgombero del paese, caricando sui carri i pochi mobili, tegole, porte, imposte e botti. Anche nei giorni successivi il flusso lavico continuava a scorrere, arrivando a soli 800 metri dalle prime case del paese e il 31 maggio iniziava lo sgombero. Nel ‘900 molti abitanti di Nicolosi, sacrificavano la loro vita nei conflitti mondiali, rispondendo alla chiamata della Patria. In epoca fascista si riprese il progetto della strada per l’Etna; nel 1929 l’amministrazione provinciale con a capo l’Avv. Lo Giudice decise la costruzione della strada e studiò i mezzi per realizzarla e i lavori iniziarono il 29 settembre 1931: dal proseguimento della provinciale Catania-Mascalucia-Nicolosi, su per il ripido fianco del grande vulcano, fino a giungere alla Cantoniera dalla quale si gode la magnifica visione di un terzo della Sicilia. La costruzione durò formalmente tre anni. Negli anni 50 arrivava l’acqua potabile direttamente nelle case. Gli ultimi decenni hanno visto una radicale trasformazione del paese che a poco a poco ha cambiato fisionomia, con la sostituzione edilizia dei vecchi con nuovi fabbricati ed il processo di riempimento degli spazi non ancora edificati. Dall’immediato dopoguerra, inoltre, i pendii sud-orientali dell’Etna sono diventati meta di villeggiatura estiva della popolazione catanese, che vi ha costruito le seconde case dalle linee architettoniche moderne e dai colori vivaci. Il boom dell’edilizia ha arrecato a Nicolosi un notevole benessere, posto a pochi passi dalla città, e da cui dipende per la sua economia prevalentemente terziaria. Da qui, però anche l’attenzione sempre crescente nei confronti di una politica turistica matura, diversa che avesse come obiettivo di offrire ad una grande quantità di persone la possibilità di visitare e soggiornare in queste zone.